Sardegna

Storia e Tradizioni – l’Isola del Vino

Paesaggi dolci, aspri, a tinte forti e delicate, così è la Sardegna, così sono i sardi, così i loro vini. Solo chi conosce bene i Sardi, il loro modo di vivere, di pensare, di soffrire e gioire, solo chi avrà la pazienza di scoprire la loro Isola potrà poi capire i loro vini, frutto di sapienza enologica e di una civiltà sedimentata attraverso i millenni.

Un viaggio nell’enologia sarda non è soltanto un viaggio nelle sensazioni e nei piaceri che il vino procura, o nelle curiosità storiche e produttive delle varietà che l’isola offre, ma anche nei luoghi e nelle aziende da cui i vini nascono. Un viaggio con olfatto, gusto e occhi tesi a percepire profumi, sapori e colori che subito si avvertono nell’aria non appena si esce fuori dalle dimensioni urbane. Sensazioni che vengono avvertite con maggiore acutezza da chi arrivi nell’isola per la prima volta, o dopo una lunga assenza, in un immediato impatto olfattivo difficile da dimenticare. Un viaggio nei luoghi di produzione e nei paesaggi dove la viticoltura viene praticata da millenni, da prima della dominazione romana, con il popolo dei nuraghi, e poi con i Fenici, i Romani, i Bizantini, le signorie toscane e genovesi con i monaci benedettini e camaldolesi, il lungo dominio spagnolo, per finire con il regno sardo-piemontese, ininterrottamente sino ai giorni nostri. Il paesaggio, mai monotonamente uniforme, spesso mostra e spesso nasconde le remote vicende delle sue origini, tra le più complesse e singolari del Mediterraneo. Siamo nella terra più antica d’Italia.

E’ risaputo che la natura dei terreni ed i fattori climatici giochino un ruolo fondamentale nella pratica e nella resa della viticoltura. Una felice combinazione di questi elementi consente al “Vermentino di Gallura” di essere uno dei quattro vini bianchi italiani che hanno avuto l’accesso alla denominazione di origine controllata e garantita. Vino bianco da bere giovane, dai delicati aromi di fruttato, con sentori di mandorlo, il Vermentino accompagna con successo tutte le numerose preparazioni della cucina di mare della Sardegna, dai crostacei in insalata, ai carpacci di pesce con verdure, agli affumicati di cernia o di pesce spada, ed anche come stimolante aperitivo nelle più svariate occasioni. La “finesse” del “Vermentino di Gallura DOCG” è data non solo dalle costanti cure a cui viene sottoposto, ma anche dai terreni, prevalentemente di disfacimento granitico, e dai microclimi di questa regione del nord Sardegna. Sono ben tre le Cantine Sociali storiche del territorio che valorizzano il Vermentino, insieme a un discreto numero di aziende di medie e piccole dimensioni.

Sempre in Gallura allignano i vitigni del “Moscato” e del “Nebbiolo”. Il “Moscato di Tempio DOC”, nella versione spumante-dolce, è uno dei più delicati ed amati vini da dessert del panorama produttivo isolano. Il rosso “Nebbiolo” (noto come “Nebbiolo di Luras) conosce in questi anni un notevole successo di pubblico. Sempre al Nord, ma in altra zona, troviamo un altro famoso vino bianco, il “Torbato”, il cui vitigno dimora nei terreni antistanti il mare di Alghero. Di sicura, anche se lontana, origine iberica, il Torbato è un vino bianco secco che nell’ultimo ventennio si è collocato tra i grandi bianchi di qualità in campo internazionale. Il Torbato esiste anche in una speciale versione di uve selezionate con il nome di “Terre Bianche” ed ancora in versione spumante “brut”.

Nei vigneti del territorio di Alghero si producono oltre al Torbato anche il “Cannonau”, il più famoso vino rosso della Sardegna, il “Vermentino di Sardegna”, il “Nasco” e, in epoca recente, il rosso “Cabernet Sauvignon” e il bianco “Sauvignon”, che hanno trovato una favorevolissima ambientazione. Il successo del bianco Vermentino di Sardegna è dovuto anche alla favorevole ambientazione nell’habitat isolano, come dimostrano diverse produzioni, tra cui quelle del territorio di Usini, non lontano da Sassari. Più a sud, nella zona collinare della Planargia, in provincia di Nuoro, famoso è il bianco “Malvasia di Bosa DOC”, dolce – non dolce, dall’inconfondibile bouquet fiorito, vino da meditazione-conversazione, oggi anche in versione spumante “demi-sec”.

Sempre in provincia di Nuoro, sul lato opposto alla costiera di Bosa, troviamo le produzioni dello straordinario rosso “Cannonau – Nepente di Oliena”, cantato da Gabriele D’Annunzio per le sue doti. Il Nepente di Oliena nasce da uno dei rari terreni italiani composti da argille nummulitiche, le stesse dei terreni che originano gli “Champagne” di Reims. Nei terreni intorno ad Oliena e in Ogliastra si producono ugualmente dei “Cannonau” di alta qualità.

Più a sud, nella regione intorno a Sorgono, si produce il rosso “Mandrolisai”, anche in versione “rosé”. Sulla stessa latitudine geografica del Mandrolisai, ma in habitat diverso, troviamo nella vallata del Tirso e nelle piane di Oristano, un altro vino famoso del repertorio isolano, il “Vernaccia di Oristano DOC”, vino bianco da invecchiamento, di antica origine, che ricorda le più valide etichette di “Jerez”. Di colore giallo-oro il “Vernaccia di Oristano” è un vino da meditazione-conversazione che si presta inoltre ad accompagnare raffinate preparazioni della pasticceria tradizionale.

Di antica origine è ugualmente il “Semidano”, oggi in fase di riscoperta e di rivalutazione verso i due generi secco e dolce. Dall’Oristanese proviene anche il rosso “Nieddera”, adatto ad accompagnare arrosti e selvaggina. Più a sud troviamo quello che forse è il più antico vitigno della Sardegna, il “Nuragus”, con la denominazione di “Nuragus di Cagliari DOC”, vino bianco secco, oggi rivalutato dalle produzioni di alcune cantine sociali.

Lo stesso fenomeno del “Nuragus” si può rilevare per il “Malvasia di Cagliari DOC”, dal gusto caldo e pieno. Lungo la pianura del Campidano, e nella zona del Sarrabus-Muravera, troviamo esempi di eccellenti produzioni del rosso “Cannonau di Sardegna”, così come troviamo di ottimo livello il rosso “Monica di Cagliari DOC” nelle zone collinari che affiancano la pianura del Campidano. E come ultimi gioielli di questo excursus produttivo da nord a sud si possono considerare le rinnovate produzioni del “Carignano del Sulcis DOC”. Di probabile antica origine francese il Carignano è oggi un vino di pregio che conferma il connubio di antico e moderno che la nuova enologia sarda è riuscita con grande sapienza ad ottenere.

Fa da corollario alla lista delle numerose etichette dei vini sardi la produzione di vini liquorosi, vini da dessert o da meditazione, in diverse zone dal Nord al centro e al Sud, in genere passiti e di gradazione alcolica superiore. Sono passiti i rossi di Cannonau che si producono ad Alghero, Oliena e Tortolì, mentre passiti di bianco Vermentino e Nasco si producono a Monti o ad Alghero. In tutto il territorio regionale si producono delle eccellenti grappe monovitigno, di Cannonau passito e di Nasco passito ad Alghero, di Vermentino a Monti, di Moscato e di Vermentino ad Olbia, di Malvasia a Bosa, di Vernaccia ad Oristano.

Sicilia

Storia e Tradizioni

Una delle prime aree abitate d’Italia, la Sicilia prese il nome dai suoi antichi abitanti, i siculi, i quali introdussero l’agricoltura e l’allevamento del bestiame nel III millennio A. C. Seguirono poi i fenici, i quali fondarono una serie di centri commerciali ed iniziarono un’intensa opera di deforestazione usando il legno nella costruzione di insediamenti e di navi per i loro commerci.

Fra l’VIII e il III secolo A. C. l’isola fu dominata dai greci, i quali a volte chiamavano l’isolaTrinacria, a causa della sua forma triangolare. Fondarono numerose colonie e svilupparono intensamente il commercio e l’agricoltura.

In seguito l’isola venne conquistata dai romani che ne fecero il granaio dell’impero. Costruirono nuove strade e rafforzarono gli insediamenti già esistenti, sviluppando ulteriormente i sistemi agricoli e commerciali.

A partire dall’827 D.C., in seguito a ripetuti attacchi da parte di pirati arabi, il porto di Palermo venne ampliato e rafforzato. La città stessa venne ricostruita varie volte stimolando allo stesso tempo un periodo di espansione degli insediamenti su tutta l’isola. La diffusione di sistemi d’irrigazione e l’introduzione di gelsomino, agrumi e altre nuove colture contribuirono al generale incremento della produzione agricola.

I normanni prima e i tedeschi poi seguirono il dominio romano continuando a migliorare le condizioni dell’isola. Purtroppo però, sotto la susseguente dominazioni angioine, d’Aragona e della Spagna, la tendenza venne invertita e la Sicilia, divenuta una colonia spagnola, vide il proprio sistema agricolo languire e sgretolarsi. Il territorio venne gradualmente diviso in ampie proprietà terriere caratterizzate da bassa produttività.

Nel XIX secolo nacque e si sviluppò la Mafia, l’organizzazione criminale poi divenuta famosa in tutto il mondo e, quando la Sicilia divenne parte del neonato Stato italiano nel 1860,la Mafia assunse di fatto il controllo dell’isola.

Dopo la seconda guerra mondiale il governo italiano promosse programmi di sviluppo economico della Sicilia. Grandi proprietà terriere vennero suddivise in unità più piccole e le zone costiere vennero bonificate e trasformate in terreni coltivati. L’industrializzazione urbana, la costruzione di nuove strade e linee ferroviarie, unite allo sviluppo dell’industria turistica hanno contribuito a migliorare consistentemente le condizioni di vita sull’isola.

I Vini

La Sicilia ha più vigneti di qualunque altra regione italiana e in genere compete con la Puglia per il titolo di maggior produttore vino. Ciononostante, i siciliani consumano meno vino pro-capite rispetto al resto degli italiani.

Buona parte dell’uva viene seccata e usata come uvetta nella preparazione di ricette locali oltre che nella preparazione di deliziosi vini da dessert che richiedono alta concentrazione d’uva e vengono bevuti in minore quantità. Infatti, la Sicilia è nota a livello internazionale per per i molti e deliziosi vini da dessert quali il ben noto Marsala.

Nonostante i vini da dolci costituiscono circa il 90% del totale della produzione DOC regionale, non bisogna sottovalutare i vari ottimi vini rossi prodotti sia da grandi gruppi quali il Conte di Salaparuta, che da gruppi minori quali Donnafugata, Consorzio Agrario Provinciale di Trapani, e Fontanarossa fra gli altri. Nell’ultimo decennio in particolare, la produzione di vini di qualità siciliani è aumentata notevolmente e i suoi vini DOC e IGT si stanno facendo notare anche sul mercato internazionale.

Se vi capita di essere sull’isola l’11 di novembre, giorno dedicato a San Martino dalla chiesa cattolica, cercate i manifesti che annunciano la Festa del Vino. La credenza popolare dice che in questo giorno i vini nuovi sono pronti per essere bevuti, come dice il detto locale: “Il giorno di San Martino il mosto diventa vino”.

Calabria

Storia e Tradizioni

Da secoli gli ulivi, gli agrumi e le viti rappresentano le risorse fondamentali della Calabria, una terra fertile e generosa dove i vini hanno una storia antichissima. I Greci portarono, infatti, nella zona vitigni preziosi la cui eredità sopravvive ancora oggi mescolandosi al desiderio d’innovazione tecnologica, nell’obiettivo di raggiungere traguardi qualitativi sempre più alti. Ecco spiegata, così, la denominazione di “Enotria” che ai tempi della Magna Grecia indicava i territori calabresi e lucani che si affacciano sul Mar Ionio e che in greco significa, appunto, “terra del vino”.

Attualmente le aziende cercano di ridurre le rese e impiegare tecniche di vinificazione moderne: ciò che ha portato a un incremento della percentuale dei vini Doc. Così, il patrimonio vinicolo calabrese, grazie alla ricerca scientifica e alla passione dei singoli vignaioli, è diventato un’arma formidabile in grado di suscitare sempre di più l’interesse dei consumatori. E, la passione di tanti viticoltori in Calabria nasce dal desiderio di continuare una lunga tradizione di famiglia. Qualcuno di loro racconta che, appena nato, gli è stato fatto dal padre il bagno nel vino per rispetto dell’antica usanza spartana che faceva crescere forti e coraggiosi.

Pur con notevoli differenze pedo-climatiche, il vigneto calabrese si rivela piuttosto omogeneo con una prevalenza di vitigni a bacca rossa tra cui primeggia il Gaglioppo che si unisce a due varietà di Nerello, al Greco Nero e ad altri vitigni, raggiungendo la maggioranza. Il Gaglioppo è una buona base per uvaggi corposi: insieme a uve nere produce rossi intensi ed eleganti; accostato, invece, secondo una tradizione calabrese, a uve bianche offre ottimi vini da tavola. Tra i bianchi prevale il Greco Bianco che oggi viene vinificato dopo un leggero appassimento: il risultato è un ambrato vino da dessert.

I magnifici vigneti di quattro comuni in provincia di Crotone (Cirò, Cirò Marina, Crucoli e Melissa) producono un ottimo vino rosso Doc rinomato a livello internazionale, il Cirò, di colore rosso rubino, odore delicato e sapore vellutato, utilizzando per il 95% uve Gaglioppo e per il rimanente 5% uve Trebbiano Toscano e Greco Bianco presenti nei vigneti. Con uve della zona di Rogliano, Martirano, Conflenti e Nocera Terinese si produce un altro rosso Doc, il Savuto, di sapore asciutto e pieno. Altri Doc vengono prodotti con uve provenienti dai comuni di Melissa, Verbicaro, Civita, Saracena, Cassano Ionio, Castrovillari, Frascineto, San Vito di Luzzi, Bianco, Isola Capo Rizzuto.

I vini coperti da una Denominazione d’Origine Controllata in Calabria coprono il 20% circa della produzione totale che nel 2000 è stata stimata a 681000 ettolitri. Nella regione ci sono 12 vini Doc nelle differenti tipologie di rosso, bianco, rosato, riserva, superiore, ecc. I vini da tavola e Igt sono pochi, tuttavia una notevole quantità del vino calabrese è commercializzato sfuso.

Bianco, dolce e liquoroso è il vino Zibibbo prodotto a Pizzo e in altre località della Calabria; l’uva omonima da cui proviene è di origine orientale, a bacca bianca, con grossi acini che si fanno appassire: è un vino da dessert. A Bianco (RC) si produce, con uve passite, un altro vino pregiato utilizzato per accompagnare dolci e torte: il Greco di Bianco. Un buon moscato, inoltre, si trova a Frascineto, Spezzano Albanese e Saracena.

Naturalmente è necessario sottolineare la straordinaria originalità di alcuni vitigni propri di questa regione come il Gaglioppo, un vitigno antichissimo molto diffuso in Calabria, che presenta interessanti caratteristiche aromatiche tipiche. Altri vitigni diffusi nella nostra regione sono il Trebbiano Toscano, il Greco, il Pecorello, il Malvasia, il Mantonico, il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio, il Guarnaccia, il Magliocco Canino, il Sangiovese, ecc. Sono utilizzati anche vitigni importanti come il Cabernet Sauvignon, lo Chardonnay, il Merlot, il Pinot.

I vini rossi hanno sapore asciutto e corposo e sono adatti ad accompagnare i classici piatti rustici della cucina calabrese e le carni stufate. I bianchi hanno sapore delicato e sono indicati con piatti a base di pesce e formaggi freschi. I rosati hanno sapore fragrante e si abbinano a legumi e carni bianche.

Oggi la vinificazione avviene quasi in purezza, si anticipa la raccolta delle uve e si controlla la temperatura dei mosti: il risultato di tutti questi progressi è un vino interessante e compiuto, che si affianca ai numerosi prodotti meridionali degni di fama internazionale. E’ da notare, inoltre, che in Calabria l’80% delle viti è lavorato ad alberello: questo conferma una produzione tradizionalmente indirizzata a una splendida gradazione alcolica.

Basilicata

Storia e Tradizioni

Territorio originariamente poco adatto all’insediamento umano a causa del clima e delle frequenti alluvioni di acqua salmastra, la regione era nota come Lucania, nome derivato dai lucani (da lucus o “foresta” in latino) che per primi si insediarono in queste terre. I greci colonizzarono la regione nel VII secolo A.C. e fondarono i centri di Siris, Metaponto ed Eraclea, sviluppando forme rudimentali di agricoltura, includendo l’introduzione dell’uva, e del commercio.

Nel III secolo A.C. i Romani occuparono la regione ed iniziarono una intensa opera di deforestazione e di sviluppo agricolo del territorio che continuò fin quasi alla caduta dell’Impero Romano.

In seguito, i bizantini cambiarono il nome della regione in basilikos che significa “principe” o “governatore”, dal quale deriva il nome attuale. Nei secoli seguenti le frequenti incursioni di pirati Saraceni spinsero la popolazione verso l’interno montagnoso, arido e non adatto all’agricoltura.

Dopo la riunificazione d’Italia, il nuovo governo espropriò vasti appezzamenti di terreno appartenenti alla chiesa ridistribuendoli fra un numero limitato di case nobiliari che non avevano interesse nello sviluppare ulteriormente il territorio. Come conseguenza, la zona entrò in una spirale di declino socio-economico. L’estrema e diffusa povertà generò il fenomeno del brigantaggio, in parte sostenuto sia da rappresentanti della chiesa che da alcune fazioni della nobiltà. La ribellione degenerò in un conflitto armato di tipo guerrigliero a sostegno di un vero e proprio movimento politico di opposizione al nuovo Regno d’Italia che continuò per anni.

Solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, con la creazione di piccole compagnie agricole, la situazione è migliorata portando un certo benessere economico agli abitanti della regione. Infine, la scoperta di giacimenti di metano nel corso degli anni ‘60 e ‘70 ha generato lo sviluppo locale dell’industria petrolchimica portando ulteriore benessere.

I Vini.

Nonostante in Basilicata si produca un solo vino DOC, la qualità è tale che viene annoverato fra i più rispettati ed apprezzati vini rossi italiani. Il nome Aglianico, che definisce sia il vino che l’uva dal quale deriva, è una corruzione della parola “ellenico” ovverosia, Greco. Infatti, la regione non ha vite autoctona della zona e l’Aglianico fu portato dai colonizzatori greci in tempi pre-romanici. Come risultato, in Basilicata l’arte enologica era già conosciuta in tempi antichi, molto prima che molte delle varietà d’uva autoctone delle regioni dell’Italia settentrionale venissero coltivate e trasformate in vino.

I greci piantarono e coltivarono estensivamente vitigni nella zona del Monte Volture, zona dove ancor oggi si produce forse il miglior Aglianico, come testimonia il nome dell’unico DOC, prodotto nella regione: Aglianico del Volture.

Puglia

Storia e Tradizioni

La parte sud della regione è costituita da una penisola piana e fertile che forma il caratteristico “tacco” dello “stivale” italiano. Nell’antichità la parte settentrionale della regione era già conosciuta col nome di Puglia, mentre la parte meridionale era chiamata Calabria, nome che che oggi definisce la “punta” della penisola italiana.

Prima di essere conquistata dai Romani nel IV secolo A.C., quest’area era abitata da varie tribù di ceppo italico e da colonizzatori greci. Come di consueto, i Romani lottizzarono il territorio, costruirono nuove strade e stabilirono nuovi insediamenti.

Dopo la caduta dell’Impero Romano la regione seguì il fato della maggior parte dell’Italia meridionale. A tempi alterni la zona fu soggiogata dai Goti, dai Longobardi, e dai Bizantini. Nell’XI secolo fu conquistata dai Normanni e, nel 1059, Roberto il Guascone fondò il ducato di Puglia. Quando i Normanni conquistarono la Sicilia alla fine dell’XI secolo, Palermo, rimpiazzò Melfi come capitale del vassallato e Puglia divenne una semplice regione dapprima del Regno di Sicilia ed in seguito del Regno di Napoli e delle due Sicilie.

Dopo i normanni fu il turno dei turchi e dei veneziani, i quali a tempi alterni occuparono le zone costiere fino al 1861, quando la regione fu riunita al regno d’Italia sotto la conduzione dei Savoia. Riforme sociali ed agrarie procedettero lentamente durante il XIX secolo, ma accelerarono notevolmente fra la metà e la fine del XX secolo.

Nonostante la Puglia sia principalmente pianeggiante ci sono zone montagnose nel Gargano e nella parte centro-settentrionale della regione. Nonostante la rapida espansione industriale del XX secolo, l’occupazione principale continua ad essere l’agricoltura. I prodotti tipici includono olive, uva, cereali, mandorle, fichi e tabacco oltre ad animali d’allevamento, fra I quali si contano pecore, maiali, mucche, e capre.

Gli stabilimenti industriali comprendono raffinerie, impianti chimici, cementifici, impianti per la lavorazione del ferro, dell’acciaio e della plastica e, naturalmente cantine vinicole. La pesca è un’industria attiva sia nelle coste dell’Adriatico che nel Golfo di Taranto.

I Vini

La Puglia produce più vino di ogni altra regione Italiana, coprendo circa il 17% della produzione nazionale, e compete con la Sicilia per il primo posto nella produzione di uva. Tradizionalmente, la maggior parte del vino prodotto in zona veniva spedito al nord per essere usata nella produzione di Vermouth a Torino, oppure in Francia, specialmente nelle annate di bassa produzione oppure di scarsa qualità.

In anni più recenti, gli enologi pugliesi hanno iniziato a produrre vini che vengono imbottigliati localmente e bilanciano armoniosamente bouquet, acidità, grado alcolico e densità.

In Puglia si producono 25 vini DOC, includendo il Primitivo di Manduria, un buon rosso che prende il nome dall’uva omonima. Recentemente una ricercatrice californiana, Carole Meredith, ha dimostrato che il Primitivo ha lo stesso DNA dello Zinfandel americano, il vitigno dal quale si ricava il più apprezzato vino rosso prodotto nella Wine Country (Regione del Vino) californiana e, per estensione, negli Stati Uniti. L’Accademia dei Racemi, un’associazione di coltivatori, agronomi ed enologi dedicata alla promozione e al miglioramento della qualità dei vini prodotti localmente, sotto la direzione del signor Gregory Polucci produce un eccellente Primitivo e sta sperimentando con vitigni Zinfandel importati dagli Stati Uniti.

Il Salice Salentino, un rosso corposo prodotto nella provincia di Lecce, merita una menzione particolare. Contiene principalmente uva Negro Amaro ed ha guadagnato un discreto seguito anche all’estero grazie all’ottimo rapporto qualità-prezzo.

Per lungo tempo, in Puglia ha predominato la cultura delle cooperative vinicole ma, con il quasi totale esaurimento delle sovvenzioni sia da parte del governo italiano che da parte dell’Unione Europea, le coop si trovano di fronte alla scelta, a volte drastica, di cambiare i loro metodi produttivi oppure rischiare il fallimento. Probabilmente, questo va a tutto vantaggio dell’amante del buon vino, visto che molte coop hanno ridotto la produzione focalizzandosi sulla qualità e la tutela del marchio dei vini locali.

Campania

Storia e Tradizione

I primi abitanti di quella che è oggi la regione Campania furono gli Aurunci e gli Opici, gente di origine greca che si stabilirono a Cuma, nel nord di Napoli. Nel VI secolo A.C. la zona venne conquistata dagli Etruschi i quali furono a loro volta sconfitti dai Sanniti. Nel VI secolo A.C. la regione divenne parte dell’Impero Romano col nome di Campus o “pianura”, dal quale deriva il nome attuale. I Romani lottizzarono il territorio ed organizzarono l’agricoltura si che la zona godette una pace relativa per lungo tempo. Nel 79 D.C., il lungo periodo di tranquillità venne brutalmente interrotto da un’improvvisa e violenta eruzione del Vesuvio che sommerse la città di Pompei ed Ercolano sotto un mare di lava fusa.

Dopo la caduta dell’Impero Romano i Goti e i Bizantini si contesero la provincia finché non entrarono in scena i Longobardi che la conquistarono definitivamente. In seguito fu il turno dei Normanni che fondarono dapprima il Regno di Sicilia ed in seguito ampliarono i loro possedimenti e fondarono il Regno di Napoli e delle due Sicilie.

I Borboni, gli ultimi stranieri a conquistare l’Italia in ordine di tempo, fecero di Napoli la capitale del Regno Angiovino. Essi iniziarono numerose opere di recupero delle zone paludose nei dintorni di Napoli rendendo abitabili e coltivabili ampie porzioni della piana resa disponibile dalla bonificazione.

Con l’unificazione del Regno d’Italia, nel XIX secolo iniziarono tentativi di industrializzazione della regione, concentrandosi specialmente nella costruzione di navi e altre imbarcazioni. Sfortunatamente per gli abitanti della zona, la concorrenza delle regioni settentrionali, più ricche e tecnologicamente più all’avanguardia, portarono la nascente industria al fallimento. Ciononostante, oggi la Campania è annoverata fra le regioni più industrializzate della Repubblica Italiana

La singolare gastronomia di questa straordinaria terra, che ha dato al mondo piatti di fama universale quali la pizza e la pasta asciutta, è un fenomeno al quale è impossibile non lasciarsi coinvolgere quando si visita la regione. Il caffè alla napoletana per esempio, è qualcosa da non perdere assolutamente. Anche in un paese assuefatto al caffè espresso quale l’Italia, il modo nel quale viene preparato a Napoli e dintorni è nettamente superiore. Da non dimenticare fra i prodotti tipici locali c’è il Limoncino, un liquore a base di limone che in tempi recenti ha conquistato il mercato nazionale e viene ampiamente imitato in tutta Italia.

I Vini

Pare che l’arte enologica fosse praticata in questa zona fin dal XIII secolo A.C.

Come molti altri prodotti di questa regione, il vino é tradizionalmente fatto per essere bevuto prontamente fin che è giovane, senza sottostare a forme di invecchiamento di sorta. Questo fatto ha condotto alcuni esperti a considerare i vini locali come prodotti di classe secondaria. Questo concetto è ribadito francamente dal critico Burton Anderson nel suo libro “Wine Atlas of Italy”, (Atlante dei Vini d’Italia) pubblicato nel 1990, dove afferma con decisione che i vini degni di nota della Campania si contano “sulle dita di una mano (on one’s fingers).

Gli ultimi decenni del XX secolo però, hanno visto un dinamico risveglio dell’enologia Campana e vini di pregio hanno iniziato ad essere prodotti in varie province della regione portando il numero dei vini a riconoscimento DOC da nove nel 1975 a 19 alla fine del secolo.

Specialmente nella zona del Taurasi DOCG, alcuni vinificatori si sono distinti nella produzione di notevoli vini sia bianchi che rossi I quali hanno conquistato un meritato rispetto a livello nazionale.

Il vino campano più conosciuto è probabilmente il Lacrima Christi o, “Lacrime di Cristo”. Nonostante in passato sia stato prodotto in abbondanza tale da rischiare di essere considerato alla stregua di un prodotto industriale, in tempi più recenti alcuni produttori si sono adoperati con successo a ripristinarne lo status puntando su una produzione più artigianale e curata.

La Campania ha vari vitigni autoctoni della regione quali il Fiano, un’uva nota agli Antichi Romani come Viti Apiana, il Coda di Volpe, che fu chiamato così da Plinio a causa della forma particolare del suo grappolo e il Pedirosso. Inoltre, nella regione è coltivato in abbondanza il Greco, che fu introdotto in tempi antichi da colonizzatori greci.

Molise

Storia e Tradizioni

Quest’area era abitata fin da tempi pre-romanici da varie tribù di ceppo Italiaco e dai Piceni, gente di origine greca che chiamavano Picenum la zona da loro abitata.

Conosciuta anticamente come Samnium, nel Medio Evo il nome della zona fu cambiato in Aprutium. Nel XII secolo, l’imperatore Federico 1º cambiò il nome in Listitieratu Aprutii e la regione divenne parte del Regno dell’Italia del Sud. L’Aquila, l’attuale capoluogo della regione, fu probabilmente fondata nel 1254 in seguito a una rivolta popolare contro l’imperatore iniziata nella zona occidentale della regione.

Il Regno dell’Italia del Sud fu dapprima dominato dalla Spagna,poi dall’Austria ed infine, nel 1735, divenne proprietà dei Borboni. Quando Napoleone assunse il potere in Francia, nominò suo cognato Joachim Murat re dell’Italia del Sud. Il poeta locale Gabriele Rossetti, nativo di Vasto, fu nominato Segretario della Pubblica Educazione nel governo di Murat. In seguito Rossetti visse in esilio a Londra dove suo figlio, Dante Gabriele Rossetti divenne noto come pittore e fu fra i fondatori del movimento pittorico dei pre-Raffaeliti.

Nel 1860, in seguito alle campagne vittoriose di Garibaldi e l’unione dell’Italia in un unico regno, l’Abruzzo e il Molise furono riuniti in una singola regione col nome di Abruzzo e Molise. É solamente nel 1963 che le due regioni sono divenute due entità amministrative separate.

Solo in tempi relativamente recenti la creazione di impianti industriali e lo sviluppo dell’industria turistica, specialmente nelle zone di montagna, hanno realizzato una forma di guadagno alternativo alla limitata produzione agricola. A causa dell’economia povera e della mancanza di prospettive di sviluppo locali, la regione ha visto un costante flusso dei suoi abitanti verso l’esterno durante tutta la sua storia moderna e principalmente nel corso del XX secolo.

I Vini

In Molise si producono tre vini DOC: il Biferno, il Molise ed il Pentro.

Il Biferno DOC, che viene vinificato in nero, bianco e rosato, è prodotto nei dintorni di Campobasso.

Il Pentro DOC, che viene vinificato ugualmente in nero, bianco e rosato, è prodotto nella zona di Isernia.

Il Molise DOC è disponibile sia nero che bianco e viene prodotto in tutta la regione.

Abruzzo

Storia e Tradizioni

Quest’area era abitata già in tempi pre-Romanici dai Piceni e da altre tribù di stirpe italica.

Conosciuta anticamente come Samnium, nel Medio Evo il nome della zona fu cambiato inAprutium. Nel XII secolo, l’imperatore Federico 1º cambiò il nome in Listitieratu Aprutii e la regione divenne parte del Regno dell’Italia del Sud. L’Aquila, l’attuale capoluogo della regione, fu probabilmente fondata nel 1254 in seguito a una rivolta popolare contro l’imperatore iniziata nella zona occidentale della regione.

Il Regno dell’Italia del Sud fu dapprima dominato dalla Spagna,poi dall’Austria ed infine, nel 1735, divenne proprietà dei Borboni. Quando Napoleone assunse il potere in Francia, nominò suo cognato Joachim Murat re dell’Italia del Sud. Il poeta locale Gabriele Rossetti, nativo di Vasto, fu nominato Segretario della Pubblica Educazione nel governo di Murat. In seguito Rossetti visse in esilio a Londra dove suo figlio, Dante Gabriele Rossetti divenne noto come pittore e fu fra i fondatori del movimento pittorico dei pre-Raffaeliti.

Nel 1860, in seguito alle campagne vittoriose di Garibaldi e l’unione dell’Italia in un unico regno, l’Abruzzo e il Molise furono riuniti in una singola regione col nome di Abruzzo e Molise. É solamente nel 1963 che le due regioni sono divenute due entità amministrative separate.

Il nuovo governo dell’Italia unita ampliò lavori di opere pubbliche già iniziate dai Borboni, inclusa la bonifica del Lago di Fucino, con la conseguente creazione di 140 chilometri quadrati di eccellente terreno agricolo. Inoltre furono costruite nuove strade e una rete ferroviaria e, nel 1923, venne istituito il Parco Nazionale d’Abruzzo, una vasta area di 400 chilometri quadrati che è divenuta santuario della complessa flora e fauna locale. Negli anni 70 e 80, la costa Adriatica della regione ha visto la nascita di un’economia più industrializzata e di strutture turistiche che, unite, hanno portato nella regione una nuova stabilità economica.

I Vini

In Abruzzo si produce un solo vino DOCG e tre vini DOC. Nonostante questi abbiano nomi di rispetto, sono quasi totalmente sconosciuti all’estero e, spesso, vengono erroneamente giudicati di poco pregio e di bassa qualità.

La ragione principale per questo stato di cose è dovuta in gran parte al fatto che, come in buona parte dell’Italia meridionale, è in corso una lenta transizione dalla produzione di vino all’ingrosso alla produzione di vini più raffinati destinati all’imbottigliamento. In altre parole, è in corso il passaggio da un tipo di produzione prettamente industriale ad una produzione più artigianale dove, una produzione artigianale più limitata nella quantità ma più curata e di qualità superiore può trasformarsi in un meritato successo commerciale.

Nonostante la situazione stia lentamente cambiando, un certo numero di esperti del vino tendono a guardare dall’alto al basso la produzione enologica del mezzogiorno. Di sbagliato in questa valutazione, c’è il fatto incontrovertibile che alcuni vini sia francesi che italiani prodotti nelle regioni settentrionali che godono di un certo favore contengono in varia misura vini abruzzesi. Infatti buona parte della produzione locale viene tuttora spedita al nord all’ingrosso per essere usata da taglio.

I quattro vini DOC abruzzesi sono il Contro Guerra, il Trebbiano d’Abruzzo, il Montepulciano d’Abruzzo e il Montepulciano d’Abruzzo Colline Termane.

Gli ultimi due non vanno confusi con il Vino Nobile di Montepulciano della Toscana. Mentre il Montepulciano di Toscana prende il nome dalla zona in provincia di Siena dove viene prodotto, quello abruzzese prende il nome dal vitigno dal nome omonimo.

Lazio

Storia e Tradizioni

E’ la regione più meridionale dell’ Italia centrale ed è la terza regione per numero di abitanti. Ricca di storia e di notevole importanza artistica è meta di turismo internazionale in ogni stagione dell’ anno, sulla riva destra del fiumeTevere è situata la città del Vaticano.

Il Territorio

Il Lazio può essere diviso in tre parti:
Il litorale tirrenico e le zone pianeggianti con lunghi tratti sabbiosi interrotti dagli speroni montuosi di Capo Linaro, del Monte Circeo e del promontorio di Gaeta. La zona appenninica formata dai rilievi dei monti Sabini e Prenestini. La zona antiappenninica con i rilievi dei monti Cimini e Volsini che racchiudono la piana di Tarquinia, a nord del fiume Tevere. A sud del Tevere sorgono i colli Laziali di origine vulcanica.

La Città Eterna

Roma: il richiamo turistico esercitato dalla capitale è al primo posto tra le località laziali. Chiamata la “città eterna” per i suoi ventisette secoli di storia che vanno dalla fondazione all’ età moderna. E’ ricca di opere d’ arte di ineguagliabile valore. Il Colosseo o Anfiteatro Flavio, iniziato da Vespasiano nel 72 a.C. fu terminato nell’ 80 a.C. da suo figlio Tito. L’ Arco di Costantino, il Foro Romano con il suo imponente complesso di ruderi. Piazza Navona con le sue tre fontane, quella al centro la fontana dei Fiumi (Nilo, Gange, Danubio e Rio della Plata) è un capolavoro di Lorenzo Bernini. La Fontana di Trevi è la più famosa tra le fontane di Roma. Piazza di Spagna. La scalinata della Trinità dei Monti. I Fori Imperiali. Il Campidoglio. Castel Sant’ Angelo. Le Terme di Caracalla. La Toma di Cecilia Metella. La Via Appia Antica: la più antica delle strade consolari, per citare solo alcune delle meraviglie che si possono ammirare.

Gastronomia

La cucina laziale è soprattutto popolare, fatta per il vero buongustaio, non ha raffinatezze ma è robusta e generosa , fatta per compagnie allegre e numerose, per le scampagnate alle trattorie popolari su tavoli coperti da tovaglie di carta. Anche a Roma sarà facile trovare questi ambienti alla buona dove continua l’ antica tradizione della cucina rustica dei pastori e dei contadini come la coda alla vaccinara, il maiale arrosto e, carne più usata, l”abbacchio” ossia agnello giovane, cotto in padella o a “scottadito cioè sul fuoco di carbone. Tra i formaggi dominano quelli di pecora e di bufala.

Città del Vaticano

Situata sulla riva destra del fiume Tevere è il più piccolo stato indipendente del mondo (0,44 Kmq) e nel suo territorio sono compresi: la Basilica di San Pietro, i palazzi Apostolico, del Governatorato, della Biblioteca e quello della Radio Vaticana. Il servizio d’ ordine è svolto dagli agenti di Vigilanza e della Guardia Svizzera che indossa la originale divisa, forse disegnata da Michelangelo; alla costruzione della Basilica contribuirono noti architetti, scultori e pittori. Il lavoro della Cupola, iniziato dal Bramante, fu modificato da Michelangelo. A Gianlorenzo Bernini si devono la sistemazione della piazza ed i suoi porticati .

Visitiamo il territorio e le sue produzioni:

Fonte “Disciplinari produzione vini DOC Lazio”:
tratto da Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio

In attesa di vedere come sarà il “vigneto Lazio” nei prossimi anni, dopo che sarà realizzato il piano per la sua trasformazione appena iniziato, non ci resta che illustrare a grandi linee l’attuale panorama delle DOC. Non essendo stata creta alcuna nuova denominazione nel corso dell’ultimo anno, restano a tutt’oggi in vigore 25 Denominazioni che coprono complessivamente circa la metà dell’intero territorio regionale interessando tutte e cinque le province.

L’area più importante, che è poi quella storicamente più antica, è quella dei Castelli romani, un territorio che si snoda sulle colline intorno al lago di Albano e che fonda le sue caratteristiche su terreni di origine vulcanica. Sono i vini che si bevevano nell’antica Roma e che tuttora sono i più diffusi nel consumo della capitale. Per il momento, la base ampelografica prevalente si affida alla Malvasia di Candia, al Trebbiano toscano e alla Malvasia puntinata, vitigni che si ritrovano un pò in tutte le DOC dei Castelli.

Portabandiera di questi vini è il Frascati, il cui nome stesso richiama la freschezza, la piacevolezza, la giovinezza di un prodotto che si lascia bere con facilità. É anche il vino cantato da poeti e scrittori, quello che ha fatto conoscere nel mondo il vino “de Roma”. Nell’ambito della produzione complessiva dei Castelli Romani (1 milione e 200 mila ettolitri), il Frascati rappresenta il 42%. Oltre al tipo secco, il più diffuso, viene prodotto anche nelle tipologie asciutto, amabile, Cannellino, Novello e spumante. I comuni interessati sono, oltre naturalmente a Frascati, Grottaferrata, Monteporzio Catone, Montecompatri e Roma stessa.

Accanto al Frascati, l’area dei Castelli comprende molte altre Denominazioni. Una di queste è la Montecompatri-Colonna, che con la vicina Zagarolo condivide le tipologie secco, amabile e dolce. La maggior parte si trovano però sull’altro versante, ossia sulla parte occidentale del lago. Questo è il regno del Marino, altro vino bianco molto diffuso, prodotto in gran parte da varie Cantine sociale che da alcuni anni hanno cominciato a migliorare la qualità della produzione. Il Marino può essere prodotto anche nelle versioni Superiore e spumante.

Scendendo più a Sud, ecco la DOC Colli Albani, altro serbatoio di vini bianchi non impegnativi per la sete dei romani (e non solo). E ancora, in una sorta di platea che circonda il lago, anzi i laghi perché qui siamo in riva al lago di Nemi, troviamo la zona di produzione dei Colli Lanuvini e quindi a seguire quelle delle DOC Velletri e Cori. Ma mentre la prima è rivolta ai soli vini bianchi, i disciplinari delle altre due consentono anche la produzione di vini rossi. In questo caso i vitigni più usati sono Sangiovese, Montepulciano e Cesanese, ma talvolta entrano nell’uvaggio anche Bombino nero, Ciliegiolo, Nero buono e perfino Merlot. Proprio in queste zone, che fanno parte dei Castelli Romani, l’eccessiva presenza di vitigni a bacca bianca, tra l’altro coltivati con sistemi non perfettamente in linea con quanto oggi si richiede per ottenere prodotti di grande qualità, proprio qui dicevamo si dovrà intervenire in futuro seguendo le direttive indicate dal progetto di ristrutturazione del “vigneto Lazio”.

Ma proseguiamo nella panoramica delle attuali DOC. Altra area di antiche tradizioni, non foss’altro perché qui la vite era coltivata (e con ottimi risultati) già dagli Etruschi, è il Viterbese. Nomi prestigiosi come Orvieto e Est!Est!Est! di Montefiascone bastano da soli a dare un blasone di nobiltà a una zona vinicola. É vero che negli ultimi dieci-quindici anni hanno risentito anch’essi della crisi generale dei vini bianchi, tuttavia nelle aree più vocate i produttori più avveduti hanno cominciato a immettere sul mercato vini di un certo interesse. Certo, nella maggior parte dei casi la base ampelografica è affidata tuttora ai vitigni tradizionali (Trebbiano toscano, Malvasia, Verdello, Drupeggio e Grechetto per l’Orvieto; Trebbiano toscano, Malvasia di Candia e Rossetto per il Montefiascone), ma in futuro questa potrà essere modificata, magari attraverso il miglioramento di alcuni di questi stessi vitigni. Entrambi vengono prodotti nelle versioni secco e abboccato (l’Est! Est!! Est!!! anche come spumante).

Sempre nella zona settentrionale del Viterbese, in una piccola area che si affaccia sul lago di Bolsena, troviamo l’antico Aleatico di Gradoli (dolce e liquoroso). Qui purtroppo la superficie coltivata è in fase di contrazione, anche perché sembra che il vitigno sia in fase di erosione genetica; eppure, nonostante ciò, da più parti viene avanzata l’eventualità di una richiesta di DOCG. La ricchezza in fatto di aree coltivate a vite della provincia di Viterbo continua con le DOC Colli Etruschi Viterbesi (bianco, rosso, Novello, rosato, Procanico, Grechetto, Rossetto, Moscatello) e Tarquinia, entrambe di recente istituzione e con vasti territori di produzione che vanno dai confini con la Toscana e l’Umbria fino ad abbracciare buona parte della costa tirrenica fino al Tevere. Infine, la DOC Vignanello, non distante dal capoluogo e in parte fiancheggiante il Tevere. Il disciplinare consente la produzione di bianchi, rossi e rosati, nonché il Greco di Vignanello (secco e spumante).

Entriamo in provincia di Roma e sempre sulla costa, inglobata nella più ampia DOC Tarquinia, ecco la DOC Cerveteri, altro nome che ricorda la presenza degli Etruschi in quest’area. Bianco, rosso e rosato sono le tipologie di questa Denominazione. E sempre a nord della capitale, ma più vicino al Tevere, troviamo il Bianco Capena, una DOC abbastanza recente che consente la produzione di un bianco un pò diverso dagli altri essendo ottenuto da tre varietà di Malvasia (di Candia, del Lazio e della Toscana) e tre di Trebbiano (toscano, romano e giallo). Confinante in parte, ma rientrante in provincia di Rieti, si trova la DOC Colli della Sabina, un vasto territorio che accompagna il corso del Tevere dai confini umbri fin quasi a Roma, spingendosi verso Est. Trattandosi di una Denominazione recente, ai produttori è stata data ampia facoltà di scelta con ben nove tipologie previste dal disciplinare.

In mezzo al mare magnum di vini bianchi, il Lazio conserva per fortuna ancora qualche isola destinata prevalentemente ai vini rossi. La più importante, come si è già visto, è il Cesanese, un territorio diviso amministrativamente tra le province di Roma e Frosinone, dove tradizionalmente si producono vini corposi e dagli aromi inconfondibili. Ben tre le DOC che si rifanno al territorio: Cesanese del Piglio (forse la più nota), Cesanese di Affile e Cesanese di Olevano romano. Parzialmente coincidente con quest’ultima è la DOC Genazzano, che però oltre ai rossi contempla anche i bianchi.

Sempre al Frusinate appartiene l’ultima nata nel mondo delle Denominazioni laziali: Atina. Con questa DOC, in pratica, la vitivinicoltura della regione ha cominciato a voltare pagina, aprendo a nuove tipologie, più rispondente alle richieste attuali dei consumatori. Largo spazio, quindi, ai vitigni internazionali, dal Cabernet Sauvignon e Franc al Merlot e al Syrah. Oltre al rosso e al rosso Riserva, il disciplinare prevede l’Atina Cabernet e l’Atina Cabernet Riserva. Si tratta di vedere, dopo il necessario rodaggio, i risultati qualitativi e commerciali di questa operazione.

Concludiamo la nostra carrellata tra le DOC laziali con le due aree più a Sud, entrambe in provincia di Latina. Aprilia, confinante con i vini dei Castelli Romani, e Circeo, che corre sull’entroterra dietro il litorale che va da Latina a Terracina. Si tratta di due Denominazioni che negli ultimi tempi si è cercato di rilanciare: la prima attraverso la creazione di tre specifiche sottodenominazioni riservate ai vitigni Trebbiano, Merlot e Sangiovese; la seconda con l’ampliamento delle tipologie (bianco, rosso, Novello, rosato, Sangiovese e Sangiovese rosato) e grazie anche al miglioramento qualitativo della produzione da parte delle Cantine sociali che, come si sa, nel Lazio hanno sempre rappresentato e rappresentano tuttora una larga fetta della produzione regionale.

Marche

Storia e Tradizioni

Le Marche sono un degradare di dolci colli e valli che dall’Appennino scendono al mare. Nelle zone interne sopravvivono borghi antichissimi, insediamenti medievali chiusi tra mura, castelli e rocche che sovrastano le colline. E proprio le colline rappresentano le zone più felici per il prosperare della vite e la produzione di ottime uve. La luminosità del sole ed il suo calore consentono di esprimere altre gradazioni zuccherine e delicati profumi, indispensabili per ottenere buoni vini di cui tutta la regione è ricca. La viticoltura è frammentata con aziende piccolissime o di medie dimensioni che stanno emergendo, verso le quali il pubblico svolge funzioni di guida e coordinamento, per tutta la filiera, dal campo al mercato.

E’ un fatto assodato che i vini marchigiani nell’ultimo decennio siano cresciuti notevolmente come qualità e immagine complessiva.

E’ facile infatti oramai trovare in tutti i concorsi nazionali e internazionali un vino marchigiano ai primi posti, ora il Verdicchio di Matelica, ora il Rosso Piceno, ora la Lacrima di Morro d’Alba. In particolare tra i produttori emerge una rinnovata spinta imprenditoriale. Tutti i prodotti agroindustriali compreso il vino, prodotto tradizionale per eccellenza, sono oggi frutto di aggiornatissime tecnologie ed accurati controlli qualitativi. Ecco una carrellata su vini e zone di produzione che hanno ottenuto la denominazione d’origine (D.O.C).

Visitiamo il territorio e le sue produzioni:

Si parte con il Bianchello del Metauro, che aneddoti storici ne testimoniano la presenza già nel 200 A.C. Il vino prende il nome dalll’ominimo vitigno al quale possono essere aggiunte uve malvasia fino ad un 5%. In totale sono compresi, nella zona di produzione, diciotto comuni della provincia di Pesaro a ridosso del bacino imbrifero del Metauro.

Il Bianco dei Colli Maceratesi, composto per la maggior parte da uve Trebbiano (50%) e Maceratino, con punte di Malvasia e Verdicchio. La zona di produzione interessa tutta la provincia di Macerata e zone dell’Anconetano.

Il Falerio dei colli Ascolani, prodotto nella vasta zona collinare della provincia di Ascoli Piceno da uve Trebbiano (80%) e percentuali di Verdicchio, Passerina o Pinot Bianco e Malvasia Toscana, da sole o insieme.

Il Lacrima di Morro d’Alba, che si ottiene da un vitigno autoctono conosciuto con il nome di Lacrima, viene prodotta in un ristretto territorio a nord del fiume Esino, facenti capo appunto al centro di Morro d’Alba. Possono concorrere alla sua produzione anche uve Montepulciano e Verdicchio, in misura non superiore al 15%. Di color rosso rubino, ha origine da un vitigno molto antico tanto che se ne parla già dai tempi del Barbarossa.

Il Rosso Conero, vanto della gente Anconitana, probabilmente identificato anche in quel vino “anconitano” già lodato da Plinio Caio Secondo e Strabone.Vinificato con uve prevalentemente di Montepulciano, interessa, come zona di produzione, i comuni di Ancona e il territorio limitrofo, fino a zone di Castelfidardo e Osimo.

Il rosso Piceno è senza dubbio il vino piú diffuso delle Marche. La zona di produzione si estende dal Tronto al Cesano. Si ottiene da uve in prevalenza Sangiovese e Montepulciano, con punte di Trebbiano e Passerina. Necessita di un invecchiamento di oltre un anno, meglio se in botti di rovere.

Il Sangiovese dei colli Pesaresi è una variante tutta Marchigiana di un prodotto diffuso in tutta Italia. Vi possono concorrere, nella produzione, uve di Montepulciano e Cigliegiuolo, fino ad un massimo del 15 %. Prodotto in un comprensorio che va dalle colline di S. Bartolo nel pesarese, fino ai confini con la Romagna deve la sua fama all’ubertosità delle colline pesaresi.

Il Verdicchio dei Castelli di Jesi e di Matelica sono due varianti geografico dello stesso vitigno. La coltivazione di questo vitigno, probabilmente autoctono si estende lungo le rive dell’Esino fino alle zone collinari. Nella variante di Matelica viene prodotto dal vitigno omonimo, delle zone della sinclinale camerte, un altopiano pedemontano con al centro il comune di Matelica. La differente altitudine e conformazione geologica conferiscono a questo vino un colore piú intenso e un profumo piú fruttato rispetto a quello dei castelli di Jesi.